Guido Pinzani
Guido Pinzani nasce a Firenze il 3 gennaio 1940. Negli anni '50 si iscrive al Liceo Artistico di Firenze e studia scultura sotto la guida del maestro Quinto Ghermandi, che sarà fondamentale per il suo orientamento stilistico. In questo periodo, frequentando i tagliapietre delle cave di Maiano, realizza le prime sculture in pietra che richiamano le Cariatidi di Amedeo Modigliani, artista che apprezza molto ed al quale dedicherà la sua tesi di laurea. Oltre che da Modigliani, egli ricevette una determinante influenza da altri maestri: Alberto Viani, del quale Pinzani fu allievo presso l'Accademia delle belle arti di Venezia, lo scultore austriaco Fritz Wotruba, il pittore tedesco Oskar Schlemmer. Nel periodo successivo alla sua formazione, dopo un lungo viaggio in Germania, egli comincia a lavorare alla serie delle sculture dei Ronin, samurai senza padrone la cui passione nasce dalla curiosità di scoprire il mondo orientale dei films Rash'mon e I sette samurai di Akira Kurosawa. Contemporaneamente alla sua attività di insegnante presso l'Accademia di Belle Arti di Urbino e presso il Liceo Artistico di Firenze, la sua carriera di scultore è caratterizzata da una brillante attività espositiva che raggiunge il suo culmine con la personale del 2008 (scritti di Marco Fagioli) alla Galleria Open Art di Prato (sede dell'Archivio Pinzani), con la quale l'artista collabora sin dal 2001.
Dal 24 novembre 2018 al 31 gennaio 2019
Testi di Elena bastelli
Vero è che, come forma non s’accorda
molte fiate a l’intenzion de l’arte,
perch’a risponder la materia è sorda.
Dante Alighieri, Paradiso
Il concetto di forma, nella stretta connessione che lo lega a quello di materia, ha accompagnato l’evoluzione del pensiero filosofico ed estetico della cultura occidentale: dall’arte greca, che considerava la forma quale principio che unisce gli elementi materiali che costituiscono ogni opera, organizzandoli in modo unitario (per Platone e per Aristotele la forma è il principio primo dell’essere, del divenire e del conoscere) fino all’arte informale, che rifiutava la forma figurativa e quella astratta, costituite secondo canoni tradizionali, a favore di nuove componenti, materia, segno e gesto.
La ricerca della forma, in Guido Pinzani, si sostanzia in un’opera compatta, vigorosa e volumetrica, “Nefertiti”: la rottura dei piani, l’alternanza dei ritmi, il gioco chiaroscurale delle concavità alternate a ritmi netti e taglienti fa di questa scultura lignea una cariatide solida e potente.
Le fonti d’ispirazione dell’arte africana e della Grecia arcaica (si veda per esempio “Canappio” e le sue consonanze con gli idoli cicladici) sono richiami suadenti per l’indagine sulla figura, le masse e i volumi, ma non si dimentichi che gli interessi culturali di Pinzani sono vari, e spaziano dalla scultura romanica alla musica lirica, dalla filmografia di Hakira Kurosawa alle pitture di Cézanne.
Un elemento caratterizzante della sua produzione è la centralità del soggetto rappresentato, prima indagato e interiorizzato, poi riprodotto nella materia: così è per la regina egizia, così per i personaggi ripresi dal Don Giovanni di Mozart (in mostra il “Don Ottavio”), così per i Ronin.
I “Ronin” sono samurai decaduti. Pinzani, affascinato dalla maestria di Kurosawa e dal leggendario mondo giapponese, riprende la storia dei 47 Ronin, suicidatisi tutti insieme per aver disubbidito al divieto dello Shogun di vendicare il loro signore. Il nostro autore li scolpisce tutti e 47 (e qualcuno in più) in legno policromo. Gli elementi allungati (su cui è scritto il nome del samurai), che dilatano lo spazio intorno alla figura, sembrano richiamare, anche per l’uso del colore nero, i foderi delle wakizashi, le spade dei samurai, definite le guardiane dell’onore, che venivano utilizzate durante la cerimonia di suicidio del Seppuku.
Nell’utilizzo di materiali poveri lo scultore alterna legno e alluminio, metallo duttile che crea effetti di ondulata plasticità, come mostrano la ”Bagnante” e le due versioni di “Dans l’eau”, con un effetto lucido e riflettente che richiama il rispecchiamento di un corpo nudo nell’acqua.
La presenza, in alcune di queste opere, di buchi, aperture, perforazioni (si veda l’oculo di “Immagine mistica”) rimarca le potenzialità compositive di Pinzani e ribadisce che le sue creazioni formali non si oppongono, ma si inseriscono pienamente nello spazio circostante.
Alessandro Nocentini fonde l’armonia delle forme con la poesia della luce.
Le sue rose e i suoi iris, esiliati dal loro ambiente naturale, vengono adagiati su superfici sapientemente meditate, siano esse il nitore abbacinante della carta o i toni e i timbri dei colori attentamente calibrati del fondo dipinto che fa emergere i soggetti delle opere.
La vena intimista del pittore vivifica l’esistenza dei fiori recisi, la raffinatezza delle forme affusolate e preziose, la tenuità dei colori, l’afflato lirico sprigionato da questi tesori naturali.
Elementi artificiali si inseriscono in queste delicate rappresentazioni, bilanciando la loro presenza all’interno della calibratissima composizione: sono bicchierini diafani e trasparenti o plastiche tazzine, che prendono forma vicino a una rosa, per donare equilibrio alla dolcezza serena di un nuovo, intimo binomio.
Ancora la luce compone gli acquerelli dedicati al fiume Pesa: il colore svapora in baluginii e riverberi, in suggestive gradazioni e sfumature cromatiche.
In queste opere non c’è l’orizzonte, perché al contrario dei fiori, che si dispongono entro vasti spazi, il fiume non entra in un’ambientazione, è soggetto e contesto spaziale insieme, è paesaggio che scorre nei riflessi cangianti di acqua, sole e rispecchiamenti arborei.
E’ davvero impressionante in Nocentini la maestria tecnica, governata da un’ispirazione mentale ed emotiva insieme, che rende reale e poetica la rappresentazione dell’acqua e il silenzio che pervade questa apparizione elegiaca, emotiva e vagamente incantata.
In Lorenzo Lazzeri la forma si tramuta in apparizione o in materia.
In “Passepartout”, davanti ai nostri occhi, si apre l’immenso spazio di un bosco dipinto in varie tonalità di bianco. Al centro emerge la figura di un viandante (a metà strada fra un pittore della scuola di Barbizon e Philippe Daverio, come sembra suggerire il titolo del quadro) che si inoltra nella profondità della foresta.
L’inserimento inaspettato di questo piccolo uomo, volutamente sottodimensionato in rapporto agli alberi, insinua nell’opera un effetto vagamente perturbante. Ma il bosco è accogliente, ci invita ad entrare nel quadro, a immergersi in questa natura impallidita, a godere di questa ambientazione evocativa, dove la percezione del bianco dipinto ad olio stupisce, arresta e insieme coinvolge.
Sono altri alberi bianchi quelli che campeggiano nelle cinque opere presenti in mostra intitolate “Carta memoria”.
Qui il paesaggio non è dipinto, ma fotografato. La fotografia è ritoccata, fino a semplificarla e scolorirla, fino a cancellare i profili delle colline e i segni invasivi della presenza umana, con l’intento di creare un ambiente immaginato, che è interiorizzazione di un ricordo: è la rimodulazione di un’istantanea che diventa ciò che non era ma ciò che il pittore vorrebbe che fosse, la memoria di un paesaggio pianeggiante.
In questo gioco di ombre, ricordi, creazioni e rinascite, gioca un ruolo decisivo l’albero bianco che emerge dallo sfondo, frutto di un collage di virgole di carta che ironicamente suggeriscono il ritorno della cellulosa al suo elemento primigenio, la pianta.
La valenza plastica, tattile, tridimensionale dell’albero governa l’andamento spaziale dello scenario naturale, donando alla composizione un andamento diversificato: ora spicca la dominante orizzontale, panoramica, ora quella scorciata, diagonale, ora quella perpendicolare che si sviluppa in profondità, in mezzo alla poesia dei campi di tabacco. Il luogo della memoria è sempre un luogo dell’anima.
Nella lingua latina il sostantivo FORMA - FORMAE gode di una pluralità di significati: forma, aspetto,
apparenza, immagine, apparizione, modello, esempio, ritratto, idea, archetipo, BELLEZZA.
La mostra è dedicata alle diverse forme di bellezza che permeano le opere di Lazzeri Nocentini e Pinzani.