Angelo Palazzini
Nasce a Casalpusterlengo nel 1953 da madre cremonese e padre lodigiano. Dal 1980 è pittore a tempo pieno.
La sua ricerca è animata da un linguaggio di vena fabulatoria in cui l’invenzione fantastica e ironica a volte sottilmente grottesca e ludica non rinuncia al gioco della libertà creativa, alle immagini e ai sogni che “archivia in mobili antichi, li nasconde nei cassetti di un comò, di un trumeau; poi il cassetto si apre e ne esce un cappello, un pensiero in forma di donna, una nostalgia”, come osserva giustamente l’amico Vittorio Sgarbi.
La sapiente conoscenza tecnica e il processo di costruzione compositiva bloccato nel cloisonnisme delle superfici quale sintetismo schematizzato dello spazio, si accompagnano a certe coordinate del Surrealismo. Un Surrealismo da intendere bene nella sua dimensione narrativo-simbolica e perciò da restringere più alla concezione dello spaesamento o spiazzamento dell’oggetto.
Sue opere sono in numerose collezioni di varie città e anche in spazi pubblici in Italia ed all’estero. Da ricordare tra le sue esposizioni, quelle dal 1994 al 1997 a Spoleto nell’occasione del Festival dei Due Mondi, del 1999 alla Chiesa dell’Angelo a Lodi legata al tema “La buona indole: personaggi storici lodigiani” promossa dalla Provincia di Lodi e nel 2000 organizzata dal Comune di Codogno “Frammenti giocosi dell’infanzia ritrovata” all’ex Ospedale Soave.
Inizia nel 2000 la collaborazione con la Galleria Stefano Forni di Bologna che si protrae per un decennio, che lo vede partecipe in numerosi eventi tra i quali nel 2006 alla Basilica di Pomposa “Macchine per la fabbricazione dei sogni”, nel 2000 al Museo delle Mura di Borgotaro “Personaggi dell’immaginario”, nel 2005 alla Sala d’Ercole di Palazzo D’Accursio di Bologna.
Per segnalare alcune tra le più rilevanti:
“Contemplazioni” al Castel Sismondo di Rimini a cura di Alberto Agazzani,
“Traumaschinnen” al Museo civico di Klausen.
Prescelto da V. Sgarbi per la partecipazione in recenti esposizioni di rilievo nazionale, tra le quali:
“Surrealismo Padano: da De Chirico a Foppiani” Palazzo Gotico, Piacenza
“Surrealismo Padano: da De Chirico a Leonor Fini” Museo civico Revoltella, Trieste
“Arte italiana dal 1968 al 2007” Palazzo Reale, Milano
Da segnalare infine la presenza alla 54^ edizione della Biennale di Venezia.
In contemporanea all’attività pittorica si dedica alla realizzazione di assemblaggi metallici di recupero, dandone nuova vita e funzioni diverse.
Nonostante il carattere controllato e limitato della sua produzione, sue opere sono presenti altresì in più Gallerie d’arte in Italia ed all’estero con le quali collabora stabilmente.
Thàuma – Angelo Palazzini
Dal 8 aprile al 13 maggio 2017
Angelo Palazzini è un artista vero, lo è per l’impronta personale, maturata in anni di intenso, sofferto lavoro, che gli ha permesso di coniugare il rigore delle form con una propria solidità linguistica, grammaticalmente ordinata. Una tecnica espressiva di finissimo artigianato, che ha necessità di lentezza, di giorni.
Un artigianato dell’anima, che sedimenta e fiorisce, viene alla luce in modo magico, di cui, cioè, non è possibile dare spiegazzioni persuasive. La sua è una pittura fatta di strati succesivi di materia, sovrapposti o voluttuosamente combinati, per ottenere effetti cromatici stranianti, singolari oppure geometriche, intense macchie di puro colore, ovvero con un’unica lunghezza d’onda nello spettro percettivo. Il risultato è una tela compatta, liscia e consistente allo stesso tempo, con una coloristica intensa, con tinte diverse e con un timbro originale.
Angelo Palazzini è un artista vero perché ha sperimentato la bizzarra relazione tra il sé e il mondo, propria di ogni forma d’arte: egli attinge alla profondità inconoscibile della vita, la sua vita, traslando per noi, attraverso la materia, quella verità, che è verità comune. La sua arte vanta una spirale di cromosomi illustri: dalla pittura senese del Trecento, coi suoi fondi compatti, ai misteri onirici dei surrealisti, alla metafisica, dove il tempo si ferma, cristallizza in residenze signorili, sorprendenti cassettiere chiese barocche, fabbriche, navi…
Lì abitano personaggi vari, uomini e donne, cani e caffettiere, pinocchi e cagnolini, aviatori e prostitute, che nel silenzio partecipano all’avventura dell’esistenza. Recitando ciascuno la propria vicenda, consapevoli, forse, del ruolo che il dio Fato ha loro assegnato.
Come i personaggi di un celebree romanzo di Thornton Wilder, Il ponte di Saint Rey, anche quelli di Palazzini non hanno legami tra di loro, si ritrovano nella stessa casa, nella stessa piazza o nello stesso treno nel momento cruciale in cui sembra stia per accadere qualcosa. Assistiamo alla messa in scena del destino, che dall’antichità ad oggi, trasversalmente alle letterature, è una fonte inesauribile di ironia. Davanti a un’opera di Palazzini, come nella cornice di un teatro, scorgiamo rappresentato un dramma ironico d’accenti verdiani, tipici di una certa sensibilità padana. Approfondendo la sua poetica scopriamo che su tutto prevale la dimensione del gioco che, non perseguendo alcun fine esterno a sè stessa, rende gli uomini liberi.